+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
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«Sei tu il re dei Giudei?». |
Non è facile, né semplice, uscire dall’equivoco che si trascina da duemila anni.
Se facciamo riferimento alla petizione per richiedere l’istituzione di questa festività per riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall'ateismo ufficiale siamo nel 1923 e fu Pio XI due anni dopo a stabilirne l’istituzione. Più che una affermazione teologica fu una reazione alla situazione socio-politica del tempo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà (Pio XI, enciclica Ubi arcano Dei, 1922) un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi (Pio XI, enciclica Quas primas, 1925).
Col Concilio Vaticano II questa festa viene reinterpretata in senso universale ed escatologico a compimento dell’anno liturgico in cui sono stati celebrati i misteri della vita di Gesù Cristo.
Una festa recente, dunque, per un equivoco antico.
Non possiamo immaginare se la domanda di Pilato fosse frutto di una semplice curiosità per un mondo culturalmente diverso dal suo o se fosse preoccupato per il “potere” di cui era il rappresentante. Su questo sarà rassicurato dai capi del popolo che affermeranno: «Non abbiamo altro re che Cesare» (Gv 19,15). L’evangelista riportando questa affermazione rivela l’atteggiamento equivoco dei capi, la contraddizione in cui vivono: la rinuncia al regno messianico in favore del potere umano. Quella dichiarazione avrebbe dovuto risuonare come una bestemmia, un allontanamento da Dio e dalla sua Alleanza. |
«Il mio regno non è di questo mondo». |
Alla domanda di Pilato Gesù non risponde, neanche resta muto – come è descritto nei sinottici – piuttosto utilizza la domanda per far emergere quella realtà per cui è in atto il suo processo: altri ti hanno parlato di me; ...la tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. È quanto abbiamo ascoltato nel prologo del vangelo: venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto (Gv 1,11).
Non dobbiamo immaginare fuori luogo che la medesima situazione si perpetui nella storia, i suoi di oggi hanno la stessa responsabilità nell’accogliere la persona e il Regno che quotidianamente si fanno vicino e che in nome della religione o della tradizione finiamo per rifiutare nella loro novità dirompente. Molto stranamente l’immagine di Cristo Re è diventata simbolo per coloro che vorrebbero restaurare un “regno religioso” con quei poteri che il Signore rifiuta.
Gesù ha sempre rifiutato di diventare re e, quando la folla lo cerca per questo, si dilegua ritirandosi sul monte, lui da solo (Gv 6,15). Sa quanto sia facile equivocare il dominio col servizio (cfr. Mt 20, 25-28; Mc 9,35; Lc 12,42-46; Gv 13, 12-15); per sgombrare ogni dubbio afferma: «Il mio regno non è di questo mondo». Il suo Regno non ha i parametri dei regni umani, non ci sono servitori che combattono, non ci sono princìpi da affermare o da difendere, il suo è un regno dalle porte aperte, anzi è lui la porta attraverso cui entrare e uscire (Gv 10,9).
"Per favore niente porte blindate nella Chiesa, niente, tutto aperto" (Papa Francesco 18.11.15). |
Tu lo dici: io sono re |
Non lasciamoci ingannare dalla traduzione italiana: Gesù afferma che è Pilato a dire che lui è re (ou legheis basileus eimi = tu dici re sono) … l’impressione è che sia Gesù che Pilato si trovino su due piani diversi che tra loro non comunicano. Da una parte Pilato cerca di capire quali siano le aspirazioni regali o di potere di colui che ha davanti mentre Gesù cerca di spiegare la natura della sua missione che con i poteri del mondo non ha niente a che fare.
Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità.
Il problema, semmai, è capire cosa significhi quella verità per cui il Cristo è nato ed è venuto nel mondo. Sicuramente non è una qualche dottrina, neppure concetti astratti o una qualche forma di regole etiche. La verità di cui Gesù è testimone la scopriamo leggendo la sua vita, la sua identità col Padre e l’incondizionata obbedienza al suo progetto di salvezza per l’uomo. Più che una idea, più che una vita, una storia, la verità di cui parla Gesù è la sua persona: Io sono la via, la verità e la vita (Gv.14,6). Cristo è la verità che ha rivelato quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità (Ef 3,18) del suo amore. |